Recensione di “I’m Carl Lewis!”: un documentario accattivante ma sobrio che celebra un atleta iconico

Recensione di “I’m Carl Lewis!”: un documentario accattivante ma sobrio che celebra un atleta iconico

Esplorando l’eredità di Carl Lewis nel documentario “Sono Carl Lewis!”

Nel 2012, il film acclamato dalla critica 9.79* ha debuttato come parte della serie 30 for 30 di ESPN, diretto da Daniel Gordon. Il documentario ha catturato l’avvincente finale dei 100 metri alle Olimpiadi di Seul, una gara caratterizzata dall’esplosiva prestazione di Ben Johnson, seguita dalla sua squalifica a causa di un test positivo agli steroidi. Ciò ha lasciato a Carl Lewis una vittoria agrodolce, gettando una lunga ombra sui suoi successi.

Nonostante sia una delle figure più celebrate nella storia dell’atletica, Lewis è stato spesso percepito come enigmatico e, a volte, antipatico. Anche dopo essersi assicurato un salto in lungo vittorioso alle Olimpiadi di Atlanta, che avrebbe potuto consolidare la sua immagine pubblica, è rimasto un po’ sfuggente.

Nuove prospettive da “I’m Carl Lewis!”

Questa complessità è affrontata nel nuovo documentario, I’m Carl Lewis!, diretto da Julie Anderson e Chris Hay. Presentato in anteprima al SXSW, il film non solo celebra la straordinaria abilità atletica di Lewis, ma presenta anche una visione sfumata del suo ruolo di pioniere contro le obsolete norme dell’amatorialità olimpica. Evidenzia come fosse spesso etichettato come arrogante solo pochi anni prima che simili tratti venissero ridefiniti come sicurezza, mostrando la sua volontà di sfidare le norme di genere e le successive ricadute di queste posizioni audaci.

Nel corso del documentario, la personalità di Lewis emerge come selettiva; rivela solo ciò che sceglie. Anderson e Hay affrontano la sfida di catturare l’essenza di Lewis, illustrando anche i doppi standard espliciti, molti dei quali sono a sfondo razziale, che hanno influenzato negativamente la sua immagine pubblica.

Uno sguardo cronologico all’eccellenza atletica

Strutturato cronologicamente, il film racconta la straordinaria carriera di Lewis in quattro Olimpiadi, a partire dalle Olimpiadi di Los Angeles del 1984, dove ha eguagliato Jesse Owens aggiudicandosi quattro medaglie d’oro. La narrazione abbraccia due decenni, segnati da eventi degni di nota come la famigerata gara del 1988 contro Johnson, che è notevolmente assente da questo documentario, e l’emozionante gara di salto in lungo contro Mike Powell nel 1991, dove entrambi gli atleti si sono avvicinati al record di lunga data di Bob Beamon.

Gli spettatori possono ammirare una grande quantità di filmati che mostrano le abilità atletiche di Lewis, illuminando la sua grazia in pista. Inoltre, le interviste con i giornalisti catturano le dinamiche spesso controverse che hanno limitato il suo impegno pubblico, rivelando un’atmosfera combattiva che a volte lo ha ritratto in modo sfavorevole.

Dibattiti sull’impatto sociale e sulla percezione

Con il beneficio del senno di poi e delle riflessioni sincere di Lewis, il film rivaluta le accuse del suo atteggiamento conflittuale negli anni ’80. La sua ricerca di un risarcimento era un segno di avidità o una spinta fondamentale contro un sistema che avvantaggiava in modo sproporzionato sponsor e organizzatori? Filmati d’archivio di dirigenti pubblicitari sprezzanti accostati a testimonianze di colleghi di Lewis illustrano la minaccia che rappresentava per le norme convenzionali e il suo ruolo nell’aprire la strada agli atleti del futuro.

Inoltre, il documentario non si tira indietro dall’affrontare l’opposizione vocale di Lewis all’uso di droghe nello sport.È stato uno dei primi ad accusare le pratiche di doping di Johnson e discute candidamente delle sue controversie passate riguardanti un test antidroga positivo prima delle Olimpiadi del 1988, una questione che era già di dominio pubblico da oltre tre decenni.

Gestire le complessità dell’identità

Uno dei temi più delicati esplorati nel film è la sessualità di Lewis, che è stato un argomento caldo di speculazione durante il suo periodo migliore atletico. Come nota il commentatore Keith Boykin, l’allontanamento di Lewis dalle nozioni tradizionali di mascolinità lo ha reso sia una figura di empowerment che un bersaglio di critiche. Tuttavia, il documentario fa fatica a trasmettere appieno come Lewis abbia rafforzato la comunità LGBTQ+, soprattutto data la sua passata riluttanza ad affrontare apertamente la sua sessualità.

Sebbene Lewis abbia adottato un tono più giocoso ed evasivo nelle interviste recenti, deliziandosi in progetti passati come la sua iconica pubblicità Pirelli, rimangono domande irrisolte sulle sue precedenti negazioni e su come potrebbero aver avuto un impatto sulla sua eredità. Il film si concentra in definitiva su ciò che la società deve a Lewis, piuttosto che approfondire ciò che avrebbe potuto condividere con la società.

Conclusione: un’impressione duratura

Nella sua essenza, I’m Carl Lewis! traccia parallelismi con il documentario di Alex Stapleton su Reggie Jackson, che ha costretto gli spettatori a riconsiderare i preconcetti basati su narrazioni storiche. Sebbene non ridefinisca completamente l’eredità di Lewis, sottolinea efficacemente i suoi straordinari successi in pista e le complessità che circondano la sua persona pubblica.

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